E’ circa l’1,30 del mattino e dal finestrino dell’aereo vedo le luci di Damasco bucare il deserto.
L’avventura è cominciata: due donne sole in Siria con in mano null’altro che un biglietto di andata e ritorno.
Per ora Damasco è solo un passaggio, noleggiamo un’auto e corriamo a nord, verso il deserto, verso Maaloula, gioiello tra le rocce rossastre. Qui croce e mezzaluna vivono a pochi metri di distanza con grande semplicità e una fanciulla del convento di S. Sergio ci recita il Padre Nostro in aramaico, come Gesù Cristo 2000 anni fa: è un brivido.
La strada prosegue per Hama, dove le grandi norie, lente e regolari, girano da sempre le acque del fiume Oronte.
L’indomani dovrebbe essere il giorno dei castelli dei Crociati, ma si trasforma nel giorno delle strade perse e dei castelli fantasma.
Qala ‘at al Hasn o Krak des Chevaliers non si fa trovare, nessuno ce lo sa indicare, nonostante l’ottimo arabo della mia amica Rita e per ore vaghiamo nel labirinto delle montagne dell’Antilibano ed è bellissimo perdersi tra fiori selvatici, montagne scoscese e silenzi assoluti. Di questa giornata avrò pochi reperti storici da ricordare, ma avrò mille sorrisi, il rosso acceso delle dolcissime ciliege comperate nelle bottegucce lungo la strada, il profumo dell’erba e gli scorci sul mare.
Verso sera riusciamo infine a trovare il Krak, bianco, imponente, a nido d’aquila su di un colle.
Per queste scale strette e scoscese risuonava il clangore delle armature, uomini di un altro tempo e di un altro spazio, ma stasera sembrano ancora qui presenti.
Un’ ultima scarrozzata tra le montagne ci porta quando ormai è notte ad Aleppo, la favolosa Aleppo dalle mille luci. Cerchiamo l’hotel Baron: niente mi farebbe cambiare idea. Voglio il mito, voglio il luogo dove dormirono Agatha Christie, Lawrence d’Arabia, Charles Lindberg e tanti altri. Un turista schizzinoso lo direbbe un po’ fatiscente: io me ne innamoro a prima vista. E’ rimasto quasi intatto rispetto a quando fu costruito, nel 1911, romantico, affascinante: frusciano gli spiriti tra le poltrone un po’ consunte delle sale o nel fresco piccolo giardino.
La città è un gioiello, dalla Cittadella imponente, al Suq ricchissimo, che vediamo due volte, deserto nell’atmosfera irreale del venerdì e animatissimo il sabato, dai colossi di quasi 4000 anni fa conservati nel museo archeologico, fino al quartiere cristiano di Al Jdeida, E’ la parte più affascinante di Aleppo: un dedalo intricato di viuzze strette, chiuse tra le case come in un canyon, profumate di vaniglia e limone, illuminate dalle lanterne in ferro battuto e da una mezza luna che ammicca sulla Cittadella.
Dopo Aleppo comincia il deserto, il mio grande amico, inesauribile fonte di luce e attraverso il deserto seguiamo il corso del leggendario Eufrate. Le sue acque sono state imbrigliate con una grande diga e hanno formato il lago Assad. Accompagnate da alcuni militari di guardia alla diga scendiamo fino a filo dell’acqua, un’acqua color topazio che ribolle in gorghi candidi, circondata da rive rosse di oleandri. Ancora i militari ci accompagnano attraverso stradine sterrate fino a Quala’at Ja’abar, spettacolare cittadella protesa sul lago, dai colori violenti e abbaglianti.
Lasciati i gentilissimi militari, proseguiamo fin quando dal deserto sorge l’impressionante Rasafa, città fantasma, costruita e distrutta ripetute volte nel corso della storia. Le sue mura rosse sono quasi indistinguibili dalla sabbia del deserto che le circonda, il pizzo disegnato dai resti delle chiese e dei palazzi si staglia contro il cielo viola del crepuscolo, in un disegno commovente e straordinario.
Più avanti i primi lumini che si accendono sulle dune gareggiano con le stelle e la luna accompagnandoci fino a Deir-ez-sor. Siamo in riva all’Eufrate, al Furat, come lo chiamano qui e assaporiamo il vento caldo che spira dal deserto in un silenzio quasi mistico.
Al risveglio mi trovo di fronte le anse sinuose e assolate del fiume. Seguiamo il suo percorso ancora per un tratto, fin quasi al confine iracheno, fino alle grandiose rovine di Dura Europos e di Mari, antichissime città mesopotamiche, dove costruirono Sumeri, Babilonesi, poi Seleucidi e poi Romani. Sono tuttora oggetto di scavi, ma è già alla luce quel tanto che basta a capirne la maestosità.
Siamo quasi morte di caldo e di sete, ma all’ingresso di Mari una famiglia ci offre acqua freschissima di sorgente, ombra e tanti sorrisi.
Rinfrancate, pieghiamo a sud, verso la casa della regina Zenobia.
Palmira mantiene tutte le sue promesse: la città delle palme e della regina Zenobia, crocevia del deserto siriano, compare davanti al viaggiatore all’improvviso e piena di luce. Sono eccezionali la grandiosità e lo stato di conservazione dei monumenti: il Tetrapilo, il Tempio di Baal-Shamin, al centro di un grande cortile racchiuso da 1500 colonne, la grande agorà, il teatro, le impressionanti torri funerarie.
La grande oasi sull’antica via carovaniera tra il Medio Oriente ed il Mediterraneo è ancora lì a lambire le rovine di quella che fu una città ricca e splendida e che affascina da sempre i viaggiatori. Non so immaginare l’emozione di un viandante che arrivasse qui nel tempo in cui non esistevano guide turistiche nè fotografie e si trovasse di fronte all’improvviso tanta meraviglia senza nulla averne saputo prima.
Dall’alto della collina di Qala’at ibn Maan si dominano città, oasi e deserto ed è l’ultima immagine che mi porto via prima di riprendere il cammino e di trovarmi davanti a quello che per me è il crocevia più magico del mondo: le frecce dicono a destra Damasco, a sinistra Baghdad. Ho realizzato il mio sogno, ho ritrovato il grembo materno, quella che sento essere la mia casa primordiale. A Baghdad ero già arrivata alcuni anni fa ed era stata un’emozione inenarrabile, ma è un’altra storia, la racconterò un’altra volta; stasera a Damasco chiuderò il cerchio.
E anche Damasco mantiene le promesse. La Grande Moschea Omayyade mi abbaglia con i suoi mosaici verde e oro, la sua mistica tranquillità e tolleranza.
Il suq è pieno di colori, odori, suoni, come tutti i suq mediorientali, ma più tranquillo, i venditori non assillano, si propongono ma si ritirano con un sorriso e la mano sul cuore di fronte ai miei: “La, sucran”.
Tra il suq e la moschea pullulano i localini tipici, frequentati dai siriani. Ci mescoliamo a loro per fumare la shisha (nulla a che vedere con l’hashish!), sorseggiando un delizioso caffè.
La notte è dolce e tiepida e illuminata dalla luna piena. Il portico della moschea in questo bagno di luce ci accoglie come una madre che racconta favole ai suoi bambini. La luna si riflette sui mosaici, ombre scivolano leggere sul marmo del cortile come in un balletto senza musica, alcune si avvicinano a noi e sorridono, riescono a far parlare anche me che non conosco il loro linguaggio. Una donna dolcissima, accompagnata dai suoi 7 figli, si unisce a noi, chiede, racconta, un po’ sconvolta di trovare due donne sole in viaggio, per giunta entrambe senza figli. Non giudica, non credo, ma è triste per noi. Le raccontiamo qualche mezza bugia e con lei torniamo nel suq e con lei gustiamo quello che ci dicono essere il gelato più buono del Medio Oriente, crema e sesamo. Vorrebbe invitarci a casa sua, offrirci una cena di addio ma con molto rammarico dobbiamo rifiutare: ci restano pochissime ore per fare la valigia e correre all’aeroporto. Chissà……. la prossima volta…… inshallah.
Arrivederci Siria.